L’INFANZIA DEL SOLE

Yápankam

Yápankam, la Colomba di Montagna.

In questi giorni del Solstizio d’Inverno, in cui il Sole, piccolo e debole, inizia la sua riscossa, vi raccontiamo un mito ancestrale Shuar sull’infanzia di Etsa, il Sole.

¡Feliz Navidad y Próspero Año Nuevo a todo el mundo!

ánimo y fuerza

Tsunki

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Nei tempi antichi, attraverso la Selva scorrazzava Iwia, un terribile orco antropofago, che uccideva e divorava uomini e animali senza mai saziarsi. Un giorno Iwia uccise i genitori di Etsa, il Sole, che era ancora un bambino molto piccolo. Dopo essersi cibato delle carni del padre e della madre, Iwia prese il bambino con sé – sapeva infatti che era molto potente.

Quando fu più cresciutello, Etsa ogni mattina alle prime luci dell’alba usciva con la sua cerbottana a caccia di uccelli per saziare la fame di Iwia, che egli credeva suo padre. Ogni giorno doveva ucciderne moltissimi perché Iwia voleva sempre degli uccelli a ogni pasto, come dessert.
Etsa, anche se ancora ragazzo, era un grande cacciatore che non falliva un colpo e fu così che in breve tempo sterminò tutti gli uccelli della Selva.
Un mattino quando uscì come sempre sul fare del giorno fu accolto da un silenzio raggelante: nessun uccello cantava sugli alberi né sguazzava sui fiumi. Erano tutti morti. Tutti uccisi dalla cerbottana di Etsa.

All’improvviso, mentre vagava sconsolato, il ragazzo scorse l’unico uccello superstite: Yápankam, la Colomba di Monte, che stava appollaiata sui rami di una malitagua.
“Vediamo se mi colpisci!” gli disse Yápankam (che in realtà è un potente Arútam). “Vediamo se sei capace di colpirmi! Tira fuori la cerbottana!”
Etsa fu stranito dalle parole della Colomba di Monte, tuttavia tirò fuori la cerbottana, ma… fu incerto se soffiare.
“Perché vuoi uccidermi?” disse Yápankam. “Per chi lo fai? Hai già ucciso tutta la mia gente, non ti basta ancora? Quell’uomo non è tuo padre, lui si è mangiato tuo padre e tua madre”.
Etsa non credeva alle parole della Colomba di Monte, ma poggiò la cerbottana e si sedette. Vedeva che la Selva era tetra e immersa in un silenzio di morte senza gli uccelli e non desiderava continuare a ucciderne.
Yápankam allora gli disse: “Prendi le piume degli uccelli che hai ucciso e soffiale con la cerbottana!”
Etsa ubbidì e ogni volta che soffiava delle piume queste, volando fuori dalla cerbottana, si mutavano in uccelli vivi! Il ragazzo continuò a soffiare tutte le piume che aveva raccolto e così ripopolò la selva di tutti i suoi uccelli.
“Ora torna a casa – gli disse ancora Yápankam – ma non farti vedere e nasconditi vicino. Così saprai cosa fanno quelli che credi i tuoi genitori!”.

Etsa fece come gli aveva detto Yápankam. Acquattato vicino alla casa, vide Iwia che aveva trasformato il cranio del suo vero padre in uno strumento musicale – vi soffiava dentro e faceva tuuu tuuuu. Rideva e si divertiva molto.
La moglie di Iwia, invece, anche lei un’orribile antropofaga, usava gli occhi della madre di Etsa per strofinare le pentole e pulirle ben bene.
Etsa allora entrò in casa proprio in quell’istante: Iwia cercò subito di nascondere il cranio in una cesta, ma gli sfuggì e rotolò per terra fermandosi giusto ai piedi di Etsa che stava appendendo la cerbottana al muro e piangeva silenziosamente.

Ora il giovane Etsa conosceva la verità e l’indomani disse a Iwia: “Apáachi¹, un cervo sta mangiando le foglie di un wampu² qui vicino. Preparami una lancia per ucciderlo”.
“Va bene,” rispose Iwia.
Ma quando la lancia fu pronta, Iwia disse: “Aspetta, figliolo, tu sei bravissimo con la cerbottana, ma sei ancora piccolo per tirare la lancia, meglio che provi io!”
“Vediamo se sei capace di far centro! Credo proprio che tu non ci riesca!” lo sfidò il ragazzo.
Allora pose una banana a una prudente distanza, Iwia tirò, ma la mancò.
“Guarda me!” fece Etsa. Tirò la lancia e frantumò la banana.
“Voglio provare ancora!” disse Iwia.
Provò di nuovo, ma di nuovò mancò il bersaglio. Etsa invece di nuovo lo colpì. Disse allora: “Tranquillo, apáachi, io non mancherò il cervo! Rientra in casa mentre tuo figlio va a procurarti il pranzo!”.
Etsa andò all’orto, trovò la moglie di Iwia e non la mancò. Dopo averla uccisa, la trasformò in un cervo (infatti in seguito all’incontro con Yápankam si stavano manifestando i suoi Poteri!), le tagliò la testa e portò a casa solo il corpo.
Disse a Iwia che aveva ucciso il cervo e lo cucinò, dandogli intanto il fegato e gli intestini, che Iwia amava mangiare crudi. Il mostro li divorò in pochi minuti.
Quando il cervo fu cotto, Iwia disse a Etsa: “Ma cosa combina tua madre? Chiamala, ché mangiamo!”.
Etsa uscì sulla soglia e gridò: “Mammaaa!”.
E dall’orto il palo wai rispose: “Cosa c’è?” Etsa aveva infatti incantato il wai, il bastone per seminare l’orto, in modo che rispondesse con la voce della Iwia.
“Adesso arrivo – disse ancora il wai – sto pelando la yuca.”
Iwia dopo qualche minuto diventò impaziente. “Chiamala di nuovo!” disse a Etsa.
Etsa gridò ancora: “Mamma, muoviti!”
“Sì sì, adesso vengo, un momento!” rispose il wai.
Iwia, che era estremamente goloso, non seppe più trattenersi e disse: “Oh beh, tua madre si berrà il brodo quando torna!”. Cominciò a mangiare il cervo bollito, lo divorò di gusto e non lasciò che un poco di brodo con qualche osso per la moglie.
Etsa allora gli disse: “Apáachi, vai a farti il bagno al fiume, ché io intanto prendo la testa del cervo e faccio la tsantsa³”.
Iwia scese allora al fiume a lavarsi, mentre Etsa andò a recuperare la testa della Iwia nell’orto. La testa non era diventata quella di un cervo, ma aveva mantenuto il suo aspetto. Mise la testa in una pentola per farla bollire.

Quando Iwia tornò dal fiume, Etsa gli disse: “Ti sei fatto un bel bagno, apáachi?”
“Sì, mi son bagnato con acqua fresca!”
“Bene, ora siediti lì e chiudi gli occhi che tiro fuori la tsantsa del cervo”.
Iwia si sedette e chiuse gli occhi.
Etsa prese la pentola, ma per strane ragioni la testa non si era ridotta4, era rimasta di dimensioni normali. Il ragazzo rovesciò la pentola e la testa rotolò sul tavolo facendo un gran rumore, come tsant tsant
Sentendo quello tsant tsant, Iwia spalancò gli occhi, vide la testa della moglie ed esclamò: “Figliolo, ti stai… ti stai vendicando!”
E dicendo questo cercò di afferrare la lancia che aveva accanto, ma Etsa fu più svelto, scagliò  la sua e trafisse Iwia da parte a parte. Poi prese tutte le lance della casa e tutte gliele conficcò nel corpo.

Superata la sua infanzia terribile, Etsa crebbe e divenne un potente Arútam, saggio e giusto.
Egli era un infallibile cacciatore e un giorno avrebbe insegnato agli uomini a cacciare. Così gli uomini, grazie al Potere e alla generosità di Etsa, non dovettero più vivere alla giornata, senza progetti né futuro, solo dei pochi frutti che la Selva offriva di volta in volta, ma poterono nutrirsi in abbondanza, diventare forti e intelligenti, seccare la carne e avere provviste per i periodi magri e fare così conquiste e piani per l’avvenire.

Come i vecchi hanno raccontato a me, così io racconto a voi.
¡Nukete!
(Esto solo es)

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¹”Abuelito, papacito” (nonnino, papà). Termine Shuar che indica il padre o il nonno o talvolta uno zio.  In generale si usa per rivolgersi a un anziano della famiglia.

²Enorme albero della Selva, chiamato in spagnolo higuerón.

³Rituale Shuar praticato sui nemici – e talvolta animali potenti – uccisi, per impedire che i loro emesak, Spiriti di vendetta, cerchino di uccidere a loro volta il proprio uccisore. La testa  viene disossata e fatta restringere col calore, in modo da ridurla alle dimensioni di un’arancia. In questo modo l’emesak che si forma nella testa della vittima in seguito alla morte violenta, non riesce a formarsi o rimane bloccato dentro la tsantsa.

4Si dice che la Iwia portasse alle orecchie dei pendenti di piume d’uccello e questo avrebbe impedito alla testa di rimpicciolirsi nella bollitura.

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