Kuja, il ragazzo alato

Kuja era un ragazzo ribelle.
Un giorno, mentre era solo in casa, rubò una bottiglia di punta (distillato di canna da zucchero, molto alcolico), si ubriacò e rovesciò la punta nel fuoco così che parte della casa si incendiò.
Il padre al ritorno prese un fascio di verghe e lo frustò sul sedere.
Poi gli disse: “Hai imparato, Kuja?”
Kuja, mentre ancora piagnucolava, rispose: “Sì, padre, ho imparato… Adesso mi porti a pescare?”
Il padre da quel giorno rinunciò ad educarlo.

Kuja non voleva fare il coltivatore di canna come la sua famiglia, passava il tempo a guardare le Aquile e diceva a se stesso: “Sarò un grande guerriero che domina tutti dall’alto come l’Aquila”.
Quando ebbe quattordici anni andò via di casa per recarsi a molte miglia di distanza dove viveva lo sciamano della sua gente, che educava i futuri guerrieri.
Lo sciamano lo accolse amorevolmente ed iniziò ad addestrarlo all’arte della guerra.
Quando ci furono i primi scontri col popolo nemico, Kuja voleva subito andare a combattere con gli altri giovani anche se era arrivato solo da due mesi. Lo sciamano però non glielo permise.
Il mese seguente ci fu un altro scontro, ma di nuovo non gli fu permesso di combattere.
Ogni volta insisteva tanto che lo sciamano infine gli permise di combattere nelle retrovie.
Mentre era appostato in un cespuglio, dove i più anziani gli avevano ordinato di restare, ebbe un colpo di fortuna: Yampinkia, il capo dei nemici, grande e crudele guerriero, dopo aver ucciso 3 uomini, passò da solo proprio accanto al cespuglio.
Gli anziani lo videro e dissero: “Ora Kuja facilmente lo ucciderà.”
Ma Kuja non fece nulla.
Dopo la battaglia, lo sciamano lo interrogò dicendo: “Kuja, cosa hai fatto? Potevi mozzare i piedi a Yampinkia col tuo machete!”.
Kuja non si scompose: “Non ho braccia forti, forse non sarei riuscito a tagliargli i piedi. Se ci fosse stato un corpo-a-corpo, non avrei saputo sopraffarlo perché era molto più forte di me.”
“Non ti avevo detto forse – replicò lo sciamano – che dovevi irrobustirti le braccia prima di combattere? Non mi hai ascoltato”
“Non avrei bisogno di irrobustirmi se potessi calare sul nemico dall’alto, come un’Aquila”
“Non puoi farlo perché gli uomini non volano.”

Tempo dopo gli fu data un’altra occasione di combattere. Durante la lotta però si ritirò subito verso le retrovie. Un suo compagno si ritrovò senza appoggio e rimase ferito.
Kuja spiegò dopo che non sapeva correre veloce e doveva cominciare a ritirarsi prima degli altri o i nemici l’avrebbero facilmente catturato.
Lo sciamano replicò: “Ti avevo detto di irrobustirti le gambe, prima di voler combattere.”
“Non avrei bisogno di gambe forti, se attaccassi dall’alto come le Aquile.”
“Non puoi farlo – ripeté lo sciamano – perché gli uomini non volano.”

Mentre gli altri compagni diventavano bravi guerrieri, Kuja non faceva progressi. Quando lo sciamano insegnava guardava il volo delle Aquile e quando avrebbe dovuto esercitarsi da solo, lavorava invece a fabbricarsi due ali con le penne di alcuni gallinazos che aveva ucciso.

Appena le ebbe finite, salì in cima a un albero della gomma e si buttò.
Le ali non lo ressero, si schiantò al suolo, ma i rami degli alberi ebbero pietà di lui e gli frenarono la caduta.
Quando tornò malconcio, lo sciamano – che sapeva ogni cosa – gli disse: “Cosa hai imparato,
Kuja?”
“Ho imparato che non posso volare saltando giù da un albero della gomma.”

Tempo dopo, quando ebbe riparato le sue ali, salì su un albero più alto e si lanciò.
Anche questa volta precipitò al suolo.
Rimase bloccato nel giaciglio alcune settimane per le molte ferite.
Lo sciamano gli chiese: “Hai imparato, Kuja?”
“Sì, abuelo, state tranquillo! Ho imparato che non posso volare lanciandomi da un albero.”

Alcuni mesi dopo, salì con le sue nuove ali in cima a una gola montana e si lanciò nel dirupo, in fondo al quale scorreva un fiume. Il vento lo sostenne e Kuja era felice di esser
finalmente un’Aquila. Ma cominciò subito a perdere quota, sbatté le ali senza successo, cadde a vite e piombò nel fiume.
Lo sciamano, che sedeva sulla riva del fiume, gli disse: “Cosa hai imparato, Kuja?”
“Che posso volare! Ma questa gola non andava bene.”
Quel giorno lo sciamano rinunciò ad addestrarlo.

Kuja aveva deciso di lanciarsi da un monte molto alto, dove soffiavano forti venti. Era sicuro che da lì avrebbe potuto volare.
La sera andò a dormire in cima al monte. Poco prima dell’alba arrivarono degli uomini, che però
non erano uomini, ma appartenevano al popolo delle Aquile.
Il più anziano di loro disse a Kuja: “Con quelle ali non volerai mai. Indossa le nostre e sarai signore del cielo.”
Kuja accettò felice il dono.
Non appena indossò le nuove ali si accorse che gli uomini erano scomparsi.
Ormai albeggiava e si gettò dal monte. Finalmente poteva volare! Tutti avrebbero visto che aveva ragione lui.
Si accorse però di non poter governare le ali e che queste lo conducevano dove volevano loro. Stava volando molto in alto quando le ali cominciarono a dirigersi contro la montagna. Volarono sempre più veloci finché Kuja si schiantò sulle rocce.

I suoi compagni lo cercarono a lungo senza trovarlo. Chiesero allora allo sciamano, che – guidato dai suo Spiriti – si arrampicò fino al luogo dove Kuja era precipitato.
Il suo scheletro, spolpato dal popolo delle Aquile, giaceva in una grotta.
“Ecco – disse lo sciamano – ora le carni di Kuja volano con le Aquile, come desiderava”.
In quel luogo diede sepoltura alle ossa, mentre ai piedi del monte allestì un altare di pietra e fece delle offerte. Quell’altare esiste ancora oggi e i giovani guerrieri vi portano offerte.

Da quel giorno quando un’Aquila cattura un cane o un’anatra la gente crede sia Kuja che ancora vuole fare il guerriero e pensa che le bestie siano i nemici.
Come gli anziani hanno raccontato a me, così io racconto a voi.
Nukete! (“Esto solo es”)