Il fratellastro
Questo mito è stato raccontato al cerchio delle Maledizioni Famigliari.
Adesso vi racconto una storia.
Sciamani tradizionalmente preferirebbero non spiegarle le cose e raccontare storie, poi alle persone questo non sta tanto bene, quindi dobbiamo anche spiegare le cose. In Amazzonia invece gli Sciamani se ne fregavano e non ci spiegavano un bel niente quindi o capivi da solo o ti arrangiavi.
Questa storia succede tanto tanto tanto tempo fa, è una storia Shuar, quando gli Shuar non conoscevano ancora dei modi per trattare con gli spiriti dei morti e proteggersi da spiriti dei morti che fossero pericolosi.
In quel tempo un hombre Shuar, un uomo Shuar, aveva una moglie da cui aveva avuto un solo figlio, ma questo figlio era menomato, perché quando era nato l’anima del suo braccio era arrivata in ritardo e quindi non aveva fatto in tempo a entrare del corpo, e allora questo bambino rimase con un braccio handicappato che non è cresciuto perché non aveva un’anima, quindi non ha potuto crescere, è rimasto piccolo.
Naturalmente questo figlio quando è diventato adulto non era buono per la caccia perché aveva un solo braccio e il padre si preoccupava per lui e faceva di tutto per lui, si preoccupava anche di quando lui sarebbe morto e questo figlio sarebbe rimasto da solo, e quindi faceva ogni cosa per lui, lo viziava anche, ma quest’uomo, il padre, viaggiava anche molto perché lui vendeva pelli e denti di animali e altri prodotti della selva ai coloni, ai bianchi, e mentre si trovava in un villaggio di coloni lui si prese in moglie una colona, la figlia di contadini.
Questo si poteva fare, non era illecito, perché nel mondo della selva gli Shuar erano poligami e potevano avere anche delle mogli in altri posti, le quali restavano normalmente a vivere con la loro famiglia e il marito le veniva a trovare ogni tanto, portando doni. Questo tipo di matrimonio, molto antico, esiste da tempi antichissimi tra le popolazioni che si spostano diciamo, e lui prese in moglie una ragazza figlia di contadini; ebbe un figlio da lei, poi dopo lui tornò al suo villaggio e ogni tanto ritornava. Però lui trascurò molto questo figlio, perché era molto molto preso dal primo figlio che aveva questo handicap e quindi tutte le sue risorse erano rivolte primo figlio, inoltre il secondo figlio era figlio di una contadina che non era una Shuar. C’è sempre stato nella popolazione un certo razzismo, quindi i coloni dagli Shuar sono visti come una popolazione inferiore, come una popolazione debole che non ha la forza dei guerrieri Shuar e anche per questo lui non curava molto la famiglia, la seconda famiglia. Lui avrebbe voluto andare anche più spesso a trovare questa moglie con questo bambino, ma la moglie Shuar che aveva a casa e il figlio, quello handicappato, insistevano sempre per trattenerlo e ogni volta che lui voleva partire per andare a trovarli lo trattenevano con qualche scusa. A poco a poco lui da questa seconda famiglia non ci andò più, non ci andava mai. L’ultima volta che ci andò, per una beffa di qualche spirito, si dimenticò il suo sacchetto di medicina che lui aveva, cioè una borsa di medicina, perché quest’uomo era anche un Uwishín, uno Sciamano, e aveva una sua borsa di medicina, piccolina, e la dimenticò a casa della moglie contadina. Cosa successe? Che la moglie Shuar e il figlio menomato erano molto arrabbiati che lui non avesse più la borsa di medicina, anche perché il figlio menomato sperava di ereditarla, ma il vecchio padre ormai non stava bene, avendo dimenticato la sua borsa di medicina, una notte mentre stava nella selva dove era andato, (nonostante ormai avesse una certa età), a caccia con i guerrieri giovani, mentre si trovava nella selva degli spiriti rapivano la sua anima e da quel momento lui diventò un po’ rimbambito, non capiva più bene, non si ricordava neanche più dove aveva lasciato borsa di medicina o nemmeno che l’aveva avuta e qualche tempo dopo morì. Il figlio, quello della contadina, venne a sapere che il padre era morto ma non volle andare al funerale, (anche Shuar fanno celebrazione funebre per i loro morti), l’uomo non volle andare al funerale perché il padre lo aveva abbandonato. Tempo dopo morì anche il fratello menomato. Poco dopo la morte del padre morì anche lui, perché successe che il padre temeva che non se la sarebbe mai cavata da solo e quindi una notte gli venne a rubare l’anima per farlo morire.
Quando questo ragazzo menomato si ammalò, (si ammalò subito dopo che il padre gli rubò l’Anima) lui mandò un messaggero a chiamare suo fratello, disse: “vienimi a trovare che sto morendo perché voglio parlare delle verità di nostro padre”.
Questa volta però il figlio della contadina, che si era sentito trascurato dal padre a favore del fratello menomato, disse “va bene, io vado, ci vado da mio fratello”, si sedette sulla sua panca a forma di boa arrotolato, come uno scranno, a “bere chicha” che sarebbe una bevanda, la birra ottenuta dalla manioca, a bere chicha per molte ore e poi dopo con calma si mise in cammino; quando arrivò, il fratello era ormai morto. Allora lui disse “vabbè” e voleva anche andarsene via, ma non sarebbe stato bello, e rimase per la veglia funebre in cui il corpo del fratello morto era stato appeso al palo centrale della capanna come veniva fatto in tempo dagli Shuar, cioè veniva messo dritto, non disteso, e si faceva la veglia di 2-3 giorni, finché poi veniva seppellito. A questo punto, durante la veglia funebre, accanto al corpo del fratello, il figlio della contadina superstite si addormentò e quando si addormentò l’anima del fratello venne a prenderlo e lo portò lontano, in un posto che lui non conosceva; in questo posto c’erano tutti i morti della famiglia e anche tanti morti che non aveva mai visto e tutti stavano danzando e festeggiando e bevendo chicha e tutti ballavano, ballavano tutti in modo molto dinoccolato come ballano gli scheletri che sono molto sciolti, e ballavano tutti e praticavano libero amore, si accoppiavano come volevano tutti quanti e naturalmente il fratello morto disse a quello vivo “balla, balla con noi, guarda ti metto in testa questo cappello fatto con ali di farfalla”; gli mise in testa una specie di corona, simile alla corona Shuar, fatta di piume di tucano, che si rigira tutto intorno alla testa, solo che questa era fatta con tante ali di farfalla, una cosa molto molto preziosa e se la mise sulla testa. Anche lui iniziò a ballare, però in realtà il fratello, ad un certo punto, disse “ah senti, tienimi il posto qui nella festa che io intanto torno a casa mia a prendere le mie persone care perché vengano a ballare qui con me”.
Infatti il figlio della contadina aveva notato che tutta la gente della famiglia che stava in questa festa gli chiedeva come stavano i loro cari e quando sapevano che qualcuno stava invecchiando che era malato che era malandato erano tutti contenti perché stava per arrivare da loro, a fare festa con loro. Allora il fratello, stessa cosa, voleva portare con sé le donne della sua famiglia, ma disse quindi al fratellastro “Tienimi il posto che io vado a prendere le mie persone care e le chiamo perché vengano qui alla festa” ma il l’altro pensò “ah no, io so bene cosa succede: se io prendo il tuo posto qui, passo dalla trance alla morte, dal sonno alla morte, rimango qui per sempre” e inorridito fuggì via per ritornare sulla terra. Quando ritorno sulla terra era spaventatissimo e disse subito a tutti che era molto pericoloso e che c’erano spiriti di morti che volevano attirarli nell’Aldilà.
Si ricordò in quel momento che aveva ancora indosso la corona fatta di ali di farfalla, solo che non c’era più una corona fatta di ali di farfalla, c’erano tante piccole larve, tanti piccoli vermetti che stavano appoggiati in mezzo ai suoi capelli, allora lui schifato si scrollò i capelli (gli Shuar portano i capelli lunghi), lui schifato si scrollò la chioma nel folon, nel fuoco del focolare per bruciare tutti questi vermi.
Dopo questo lui spiegò alla gente, insegnò alle persone a pungersi le ginocchia con delle spine di chonta: la chonta è una Palma della selva, il cui tronco è tutto cosparso di spine leggermente velenose; se ti ci appoggi la mano ti punge e ti si infiamma. Pungersi le ginocchia con punte di chonta (e anche pungersi gomiti nello stesso modo) per dire che si è invalidi, non si è in grado di ballare e quindi non si può venire alla danza a ballare con gli spiriti dei morti.
Questa può sembrare un’idea molto stupida, ma in realtà gli spiriti dei morti vedono la nostra realtà come fosse un sogno e hanno delle idee bizzarre su quello che si può fare o non si può fare alle volte, come anche a noi succede nei sogni. E poi insegnò anche a portare al collo un piccolo “palito”, un piccolo bastoncino di chonta, che serviva a proteggere le anime dagli spiriti pericolosi dei trapassati.
Qualche tempo dopo questi fatti, la moglie del fratello superstite, (che si era casado, che si era sposato), non voleva più fare l’amore con il marito; al marito questo dispiaceva, perché voleva avere degli altri figli, aveva avuto un solo figlio che adesso aveva 6-7 anni. Lui temeva che ci fosse un amante della donna che si introducesse di notte per accoppiarsi con lei; allora una notte lui restò sveglio e prese il succo di una pianta della selva, che è eccitante e rimase sveglio tutta la notte. Durante la notte sentì la moglie ansimare, come se avesse un orgasmo, però lui non vide nessuno, non vide assolutamente nessuno, allora il mattino dopo chiese alla moglie cos’era stato, la moglie gli disse che quasi tutte le notti una mano si infilava tra le sue gambe e la faceva godere, e si scusò dicendo che lei pensava che fosse la mano del marito. Ma il marito disse “no, io non faccio queste cose” ed era per questo che lei non aveva più voglia di fare sesso.
Allora la notte dopo, il marito rimase in agguato e vide un braccio che si infilava tra i pali della capanna, dall’esterno. È un braccio molto peloso, come quello di una scimmia, e masturbava la moglie allora lui con il machete tagliò il braccio di netto e poi corse fuori per trovare il proprietario del braccio ma fuori trovò soltanto una macchia di sangue e il proprietario del braccio era fuggito.
I giorni dopo, il proprietario del braccio, lo spirito che possedeva il braccio tornò per cercarsi un altro braccio, cioè, per cercare il suo braccio, ma il suo braccio aveva fatto una brutta fine: infatti in famiglia avevano detto che era probabilmente il braccio di una scimmia e potevano arrostirselo e mangiarselo e così lo arrostirono sul fuoco. Poi andarono all’orto per prendere la yuca e altre piante per fare il pranzo con questo braccio e mentre erano tutti via arrivò questo spirito che cercava il suo braccio e questo spirito aveva la faccia del fratello menomato che era morto.
Lui vide il suo braccio tutto bruciacchiato e cercò di infilarselo ma non calzava più; allora chiese al bambino, l’unico bambino che avevano, l’unico figlio che aveva il fratello, e questo gli disse che il braccio l’avevano cucinato e lo stavano tenendo lì per mangiarlo allora lui volevo un altro braccio e afferrò il bambino, il bambino cercò di scappare ma lui lo raggiunse lo acchiappò e con il machete gli tagliò il braccio, lo calzò e calzava perfettamente e se ne andò via tutto soddisfatto.
Poco dopo, quando i genitori tornavano, trovarono il bambino, il loro unico figlio, in una pozza di sangue, ormai morto dissanguato. La madre ne fu terribilmente inorridita e non volle più giacere con il marito, non voleva avere altri figli e così il protagonista di questa storia e la sua stirpe terminò, perché non ebbe mai altri figli, il suo unico figlio appunto era morto in questo modo e altri figli prima non ne aveva avuti, perché la moglie – come ho detto – non aveva molta voglia di fare sesso per via di quella mano, di quel braccio che entrava tutte le notti.
E così termina questa storia, molto infelicemente, perché al tempo – come raccontava il mio maestro – gli Shuar non conoscevano ancora gli anent da rivolgere agli antenati né i modi per trattare con gli spiriti dei morti.
Come i padri hanno raccontato a me, così io racconto a voi.
Núkete, esto solo es.
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